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Salgono
le viti fino alla torre del castello di Conegliano: così si annuncia
nella sua peculiarità più profonda quello che sarà un percorso, un
viaggio alla ricerca del gusto, del piacere di scoprire un territorio
disegnato dalla storia e dai vignaioli.
Entriamo in città dalla Porta Monticano, guardati a vista dalla vigile
torre carrarese, e seguiamo quella linea curva di facciate di palazzi,
Contrada Granda, sotto i portici animati dalla presenza di numerose
osterie, giungendo in breve al riparo, come i viandanti del passato,
sotto la Sala dei Battuti, scrigno affrescato, racconto biblico steso su
archi acuti davanti alla porta del Duomo di Conegliano. Qui tra le
colonne delle navate incontriamo un "testimone del tempo",
Giambattista Cima, "ritrattista" di dolcissime donne e
"vedutista" di fine Quattrocento, che ha sparso scorci del
paesaggio collinare in tutte le sue tele.
Dal campiello all'ombra del campanile saliamo per gradini acciottolati
sotto l'affrescata Casa Sbarra fino alla calle della Madonna della Neve,
dove la collina si dischiude alla vista, per poco ancora costretta tra
broli e mura carraresi e infine libera di esplodere dalla sommità
merlata della torre del Castello.
Da questo punto di osservazione privilegiato lo sguardo può spaziare
affacciandosi prima verso la pianura a sud, dove per un istante appare
il riflesso dorato della serenissima cuspide di S. Marco sull'orizzonte
del mare Adriatico; quindi voltandosi verso nord, si può cogliere in
una veduta d'insienùme il paesaggio ondulato delle colline del Prosecco
a partire dal profilo turrito del Castello di San Salvatore, passando
per il Feletto fino a Castello Roganzuolo, mentre più in lontananza si
scorgono le cime della Costa d'Oro, le dorsali della Costa di Zuel e
infine i pendii erbosi che da Valdobbiadene salgono a Pianezze e alla
cima del Monte Barbaria.
Su questi monti prealpini dal mitico nome di Endimione va a infrangersi
come un mare la distesa a perdita d'occhio dei vigneti; prendiamo a
solcarla verso Rua di Feletto, meglio se in due particolari momenti
dell'anno, a settembre per le feste dell'uva e alla fine dell'inverno
per la Primavera del Prosecco, e ritroveremo ad ogni passo pennellate di
verde, fresco e rilassante, e d'oro, sulle foglie di vite e nel riflesso
di un limpido Prosecco, tutte accarezzate da quella luce rimasta già
impressa sui dipinti del Cima.
Giunti all'Eremo camaldolese di Rua, ci affacciamo dal piazzale della
chiesa verso la paradisiaca Valbona, paesaggio ancora oggi adatto per
meditazione.
Qualche chilometro più avanti ci attende il portico accogliente della
Pieve di San Pietro di Feletto ed appena aperta la porta, sotto la
romanica architettura, le figure dei santi ci accompagnano in preziosi
affreschi fino alle alte absidi, dove un Cristo "pantocratore"
ci svela antiche redici bizantine.
Ad ogni bivio, trattorie e osterie quasi si sostituiscono ai capitelli;
"alla Tripolitania", ad esempio appena dopo S. Pietro, ci si
può fermare per una veduta panoramica verso la valle di Corbanese e le
alte colline del Vittoriese. La strada risale e curva ancora offrendoci
nuovi scorci di paesaggio, stavolta verso i castelli di Susegana e la
amena valle del Crevada. Sfioriamo a sinistra il Refrontolo, patria del
rosso Marzemino, lasciando il percorso della Strada del Prosecco per una
divagazione di grande interesse paesaggistico; dopo qualche tornante
incontriamo un bivio con l'immancabile capitello e qui non possiamo
resistere all'impulso di infilarci a destra nella stretta valle del
Molinetto della Croda, incastonato nella "piera dolza"
modellata dall'acqua del torrente Lierza.
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