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STORIA DEI COCKTAILS |
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l’origine reale di questo nome, che non accenna a tramontare né a
subire l’influsso delle mode, da quando sono stati distillati i primi
liquori dai frutti ricavati da varie piante, si è sempre provati a
mescolarli per tentare di esaltarne il sapore, ravvivandone al tempo
stesso i colori per rendere sempre più attraenti le varie bevande. I
Romani misero in voga, tanto per fare un esempio, l’hydromeli (vino
cotto e mescolato con miele) che essi proponevano come aperitivo.
L’usanza passò poi nelle Gallie e arrivò in Bretagna dove la si
conserva tuttora. Ma
fu durante il Medio Evo e poi nel Rinascimento che le miscele a base di
liquori e di vini furono innalzate al rango di opera d’arte, di cui se
ne occupavano i maestri cerimonieri delle varie corti. Caterina de’
Medici, regina di Francia, fu considerata una delle maggiori esperte in
materia. Ella aveva imparato dai suoi cantinieri, detti allora cellieri,
le segrete metamorfosi dell’acquavite della quale si andavano
delineando le virtù medicinali mescolandola a decotti d’erbe e
usandola per scopi terapeutici, stomatici e digestivi.
L’enogastronomia veniva così delineandosi, attraverso gli studi e le
esperienze di vari alchimisti, botanici e viticultori. Sembra
che sia stato Girolamo Savonarola a inventare l’aqua ardens composita,
miscuglio sapiente di essenze vegetali, di profumi e di acquavite tratta
dal vino Vermiglio, molto apprezzata dalla nobiltà fiorentina e poi
esportata con grande successo in Francia. Che
l’origine di preparare i moderni cocktails sia di estrazione
anglosassone sembra però dimostrata dal fatto che, nel luglio del 1806,
il giornale inglese The Balance pubblicò in proposito una nota
esplicativa definendo il cocktail una “bevanda stimolante, composta di
diverse sostanze alcoliche alle quali viene aggiunto dello zucchero,
dell’acqua e del bitter”. Secondo tale testo la dizione più antica
e popolare di quel cocktail era Bittered sling. Paolo
Monelli, scrittore tanto colto quanto ben documentato, racconta che
quando arrivò a New Orleans, invece di andare a sentire Louis Armstrong,
impegnato in una serie di concerti rievocativi degli inizi leggendari
della musica americana, seguì il suggerimento di un barman e andò al
numero 437 della Royal Street. Racconta: “... e trovai una casetta
dell’Ottocento su cui era ellitticamente scritto: The cocktail is born”.
In questa storica casetta aveva abitato un certo Antoine Peychaud, di
professione farmacista, che aveva l’abitudine di offrire ai membri
della loggia massonica cui apparteneva una bevanda preparata secondo una
formula appresa nella sua isola natale, San Domingo. Si trattava di una
mistura a base di marc, cognac, zucchero e altre droghe. Per misurare
gli ingredienti della bevanda, da buon farmacista, si serviva di un
cocquetier. Sembra che la mistura del farmacista di New Orleans sia
stata dapprima chiamata cocquetier e poiché era molto richiesta non
solo dai "fratelli”, ma da tutta la clientela, in un secondo
tempo, per deformazione, avrebbe assunto il nome di cocktail. Il
cocktail, secondo varie versioni è dunque di origine inglese o
americana, con qualche influsso francese. Il
Larousse così spiega: “un mélange de boissons alcoliques, de sirop e
de glace”. (Un miscuglio di bevande alcoliche, di sciroppo e,
di ghiaccio). Questo
"miscuglio” così incerto e fluido, può indifferentemente aver
avuto inizio dai banchetti di Trimalcione, dalla corte fiorentina dei
Medici o dal Re Sole, Luigi XIV, che costituì la confraternita dei
Limonadiers, fabbricanti di bibite, cui seguirono poi gli Anysetiers e
altre corporazioni. Prima di codificarlo passarono però molti anni. Fra
le pubblicazioni dell’epoca moderna va ricordata quella del Torelli,
famoso barman parigino di origine italiana che, nel 1927, pubblicò la
sua opera 900 recettes de cocktail alla quale gli inglesi contrapposero,
nel 1931, il The Sailoy Cocktail. Va
ricordato che le regole per la composizione dei cocktails sono sempre
state precise. E se si accoglie la tesi del Monelli che il primo ad
applicarle fu un farmacista, ci si può rendere conto che non si può
procedere, nell’arte di miscelare gli alcolici, a spanne. L’attore
John Barrymore, famoso per le sue interpretazioni e per il suo ostentato
gusto per i cocktails, quando invitava qualche impresario al bar,
esclamava: “Venga con me dal professore di matematica”. Intendeva
segnalare la meticolosità con cui i suoi barman di fiducia gli
preparavano le bevande. Testo tratto dal libro:”Il grande libro dei cocktail” Editore: De Vecchi - AA.VV.
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